Anche questa domenica, come domenica scorsa, Gesù annuncia ai suoi discepoli la sua morte e risurrezione, e anche questa volta la sua parola si scontra con la loro sordità selettiva. L’unica differenza è che domenica scorsa Pietro aveva avuto il coraggio di manifestare le sue obiezioni, mentre invece questa volta i discepoli si chiudono in un silenzio pieno di vergogna perché (forse) si rendono conto di quanto stridono i loro sogni e discorsi di grandezza rispetto all’insegnamento e all’esempio di Gesù. Lungo il cammino, infatti, discutevano tra loro (cioè litigavano) su chi fosse il più grande. Forse però anche noi molte volte abbiamo rinunciato a capire l’annuncio della croce o abbiamo sperato che non ci riguardasse in prima persona.
Gesù non abbandona i suoi discepoli (e noi) a se stessi, ma con grande amore li chiama vicino a sé e cerca di aiutarli a cambiare modo di pensare.
Partendo dalla loro mentalità competitiva e dal loro desiderio di grandezza dice: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Con queste parole cerca di far capire loro che la sua croce non è solo sofferenza e certamente non è masochismo: è servizio.
Qui vorrei aprire una parentesi. Ho visto di recente il film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani” che racconta la storia di una donna abusata non solo dal marito ma anche dal resto della famiglia e dalla società. Mi ha fatto pensare. Ci sono persone che per servire hanno completamente donato se stesse con amore, come Madre Teresa di Calcutta, ma ce ne sono altre – soprattutto donne – che si sono immolate nel servizio perché non erano capaci di dire di no e per vari motivi non resistevano alla prepotenza di chi esigeva da loro sempre di più. Non è sempre facile distinguere tra queste due situazioni: ci sono ampie zone di confine in cui le motivazioni sono un misto di valori e debolezze, di scelte personali e di pressioni esterne. Forse non è un caso che le parole di Gesù nel Vangelo di oggi siano rivolte a un gruppo di maschi. Comunque, ciò che Gesù ha vissuto in prima persona e ha proposto agli altri, cioè il servizio fino al dono totale di sé, è il più grande valore per tutti, uomini e donne, purché nasca dall’amore e non dalla sopraffazione e dalla violenza.
Ma anche questo discorso sulla scelta dell’ultimo posto e del servizio è duro per le orecchie dei discepoli, e allora Gesù prende un bambino, lo pone in mezzo a loro e lo abbraccia. A questo punto mi sarei aspettato di trovare le parole del brano parallelo di Matteo: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,3-4). Sarebbero state perfettamente conseguenti all’invito di scegliere l’ultimo posto.
Invece, in questo brano di Marco, Gesù dice soltanto: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Io lo capisco così: ai discepoli che non riescono ad accettare l’annuncio della croce e nemmeno la scelta di mettersi all’ultimo posto per servire, Gesù chiede qualcosa che all’inizio può sembrare un po’ più facile, più “naturale”, cioè accogliere un bambino, un piccolo.
Questo desiderio di accoglienza, di tenerezza, è inscritto nella nostra natura. Poi però per concretizzarsi nel quotidiano richiede effettivamente di far crescere lo spirito di servizio e anche di sacrificio, insieme all’amore. Accogliere un bambino, un piccolo, un bisognoso, una persona fragile… può essere l’inizio – accettabile anche per chi vorrebbe primeggiare – di un cammino che porta ad abbandonare le proprie manie di superiorità e insegna un po’ alla volta il vero senso del servizio, del sacrificio e, quando è necessario, della croce, della sofferenza per amore.
Meditazione 25^ domenica del tempo ordinario 22/09/2024
da
Tag: