Ricordo che nell’Anno Santo del 2000 il brano del Vangelo di oggi fu continuamente riproposto e commentato da tantissimi autori, ma a me è rimasto impresso soprattutto il commento di un pastore valdese da poco scomparso, Paolo Ricca, che su una rivista cattolica scrisse: «L’unico “anno santo” o “giubilare” che la fede cristiana conosca e riconosca è quello inaugurato da Gesù quel giorno lontano in cui, nella sinagoga di Nazareth, lesse la profezia di Isaia che dice: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato… a proclamare l’anno gradito (accettabile) al Signore”. È un anno che i nostri calendari ignorano, ma che è pienamente in corso e che terminerà quando Gesù apparirà nella gloria e ogni occhio lo vedrà. Ciascuno dei nostri anni, dei nostri giorni, dei nostri secoli e dei nostri millenni, è un frammento di quell’anno giubilare, di cui Gesù è l’alfa e l’omega».
Sono parole che mi hanno fatto riflettere molto. La Torah stabiliva che ogni sette settimane di anni ci fosse un giubileo nel quale i debiti dovevano essere condonati e la terra doveva ritornare ai suoi vecchi proprietari perché era il dono di Dio ai suoi figli: nessuno la possedeva definitivamente e le differenze tra ricchi e poveri dovevano essere azzerate. Non si sa come, e neanche se, questa legge fosse applicata. Infatti il profeta Isaia annuncia la venuta di un anno gradito a Dio nel quale finalmente i poveri avrebbero ricevuto una buona notizia, i prigionieri (per debiti) sarebbero stati liberati e così pure gli oppressi, quelli schiacciati dalle ingiustizie. Se il profeta lo annunciava come un evento futuro e straordinario, significa che nella realtà del suo tempo questo non avveniva. La profezia di Isaia si compie – dice l’evangelista Luca – “nelle orecchie” degli ascoltatori di Gesù nella sinagoga di Nazaret: sono loro i primi ad ascoltare la buona notizia (vangelo) indirizzata ai poveri. Per tutta la sua vita pubblica Gesù continuerà quest’opera: annuncerà il Vangelo ai poveri, guarirà i ciechi e gli altri disabili, libererà gli uomini da ogni genere di oppressione, specialmente da una religiosità che si accontenta di riti e tradizioni (cf. Mt 23,23) trascurando la misericordia, la giustizia e la fedeltà. La prima comunità cristiana a Gerusalemme continuerà l’opera di Gesù dando compimento a questa profezia con la condivisione dei beni e prendendosi cura dei poveri.
Ancora oggi la Chiesa (cattolica) indice periodicamente il giubileo soprattutto per annunciare la misericordia di Dio (indulgenza), ma è importante non limitarsi a preghiere e pellegrinaggi: perché un anno (ogni anno) sia veramente santo si deve dare continuità all’annuncio e all’opera di Gesù.
Papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo, Spes non confundit, ai nn. 8-15 nomina alcuni “segni di speranza” ciascuno dei quali può santificare non solo questo anno ma anche quelli a venire e tutta la vita dei popoli e dei singoli.
Il primo è la pace per i Paesi in guerra, da ricercare a ogni costo. Il secondo è trasmettere la vita, scegliere di mettere al mondo un (altro) figlio. Il terzo segno di speranza è la vicinanza ai detenuti in carcere. Il quarto è l’assistenza alle persone malate e disabili. I giovani sono essi stessi il quinto segno di speranza, ma hanno bisogno di prospettive non troppo incerte per il loro futuro.
Accogliere e aiutare i migranti nel loro percorso di inserimento è il sesto segno di speranza. Il settimo è la vicinanza e, se ce n’è bisogno, l’assistenza agli anziani «che spesso sperimentano solitudine e senso di abbandono» (n. 14). L’ultimo segno di speranza indicato da Papa Francesco riguarda i poveri: sono miliardi, ma non è richiesto a ciascuno di assisterli tutti, né di farlo da solo.
A questi otto segni di speranza se ne potrebbero aggiungere altri: l’importante è che questo anno – e tutti gli altri a venire – sia santificato secondo l’annuncio e la volontà di Gesù, non solo da un pellegrinaggio in pullman, per quanto devoto.
Meditazione 3^ domenica del tempo ordinario 26/01/2025
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