Nel Vangelo di oggi sentiamo che la gente chiede a Giovanni il battista: “Cosa dobbiamo fare?”, e lui risponde: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”. Oggi, su indicazione della nostra diocesi, celebriamo la Giornata della Carità: per questo raccogliamo offerte in denaro per il Centro di ascolto vicariale e, per i bambini, giocattoli e vestiti in buono stato. Questa terza domenica di Avvento è anche chiamata tradizionalmente domenica Gaudete, che vuol dire gioite: infatti, durante l’avvento si faceva penitenza, ma per non scoraggiare troppo i fedeli, a metà di questa “quaresima del Natale” la Chiesa concedeva una pausa di sollievo. Questa, perciò, è la domenica della gioia e la domenica della carità: le due cose stanno bene insieme, perché ricevere un aiuto economico sicuramente tira su il morale di chi vive in ristrettezze, e i bambini saranno contenti di potersi scaldare e giocare.
Però la gioia non viene dai soldi o dalle cose materiali, non sempre, almeno. È vero che quando eravamo piccoli i regali di Natale ci davano molta euforia, e anche gli adolescenti imparano presto a desiderare questo o quell’oggetto, magari costoso. Ma se tutto va bene poi si cresce e anche uno smartphone che costa come uno o due stipendi non basta per essere felici. Quello che ci rende davvero felici, nel dono, è il donatore, è il fatto che qualcuno ci voglia bene: qualcuno mi ha pensato e ha scelto un regalo per me, perché mi vuole bene; io non sono solo in questo mondo, ma c’è qualcuno che mi ama e ha cura di me.
Il dono di Dio al mondo non è stato un oggetto costoso, non è stato qualcosa di materiale: per dirci che ci vuole bene e ha cura di noi ci ha regalato un bambino, povero, bisognoso di tutto, di cure e attenzioni. Se l’umanità avesse potuto scrivere una lettera a Dio o a Babbo Natale credo che avrebbe chiesto tutt’altro: la pace nel mondo, la fine della povertà, la salute per tutti… magari un capo come quello che sognava Giovanni il battista: uno che avrebbe fatto un po’ di ordine e di pulizia in questo mondo, avrebbe separato i buoni dai cattivi, il grano dalla paglia e, manco a dirlo, avrebbe bruciato la paglia “con un fuoco inestinguibile”.
Invece Dio non ci ha dato un “castigamatti”, ma un bambino che poi è diventato un uomo che ha dato la sua vita per noi; uno che ci ha fatto capire che in questo mondo non siamo abbandonati a noi stessi, non siamo soli: c’è qualcuno che ci pensa e ha cura di noi, qualcuno che vuole il nostro bene, qualcuno che preferisce cambiare il nostro cuore piuttosto che punirci.
Proviamo a immaginare di essere lì, a Betlemme duemila anni fa: quali sentimenti proveremmo nel vedere da vicino questo fagottino caldo che respira in mezzo a tutta quella povertà?
Per donarci la vera gioia Dio si è fatto debole perché non ci vergogniamo delle nostre debolezze, si è fatto povero e bisognoso perché non cerchiamo la gioia nel potere e nella ricchezza, si è fatto piccolo perché impariamo ad accoglierci tra noi: se Dio è diventato un piccolo uomo, ogni piccolo uomo e ogni piccola donna contiene in sé una scintilla divina.
Giovanni il battista ha ragione: condividete, non fate violenza, non imbrogliate… ma in fondo queste cose le sappiamo da sempre e le facciamo con molta fatica, se le facciamo: solo il Bambino di Betlemme ci tocca il cuore e ci dà il desiderio di cambiare vita, di convertirci non nella tristezza e nel rimpianto per tutto quello che avrebbe potuto accontentare il nostro egoismo, ma nella gioia di vivere una vita buona, che corrisponde l’amore di Dio per noi.
Alla fine della messa di oggi benedirò le statuette di Gesù bambino che poi saranno portate a casa e collocate nel presepio: è bello fare il presepio, ma questo ci deve aiutare ad aver cura di quei bambini e di quegli adulti che anche oggi hanno freddo e fame, sono stranieri o perseguitati come la Santa Famiglia, duemila anni fa.
Meditazione 3^ domenica di Avvento 15/12/2024
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