Quando ancora ero in seminario è arrivato a Padova il vescovo che poi mi ha ordinato prete, mons. Filippo Franceschi. Lui ripeteva spesso – con aria ispirata, anche a noi seminaristi – una frase della seconda lettura di questa domenica: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Confesso che a quel tempo non capivo perché ci mettesse tanta enfasi: in fondo – mi dicevo – eravamo seminaristi, bravi ragazzi per definizione, non peccatori irredimibili. Perché dovevamo riconciliarci con Dio? Quando mai avevamo litigato con lui?
Col tempo ho capito qualcosa di più.
Oggi molte persone cercano in tanti modi di riconciliarsi con se stesse, di essere in armonia con se stesse. Può sembrare strano, ma non lo è: si può essere in disaccordo perfino con se stessi quando disapproviamo una parte di noi. Ci possono essere insegnamenti che abbiamo ricevuto, idee che abbiamo maturato, comportamenti che abbiamo appreso e che magari per un po’ ci sono stati utili, ma a un certo punto ci sono diventati “stretti”, insufficienti o inadeguati. Allora sentiamo il bisogno di cambiare modo di pensare e agire, di non sentirci più divisi interiormente, di essere finalmente e pienamente noi stessi in quel che siamo e facciamo.
Tra i vari motivi di conflitto interiore ci può essere anche una certa immagine di Dio che è stata trasmessa alle persone della mia generazione, oppure – per i più giovani – una certa immagine di Chiesa alla quale non desiderano appartenere.
Per quanto riguarda l’immagine di Dio, il Vangelo di oggi ci aiuta a capire qualcosa. Tutti e due i fratelli della parabola pensano che il loro padre sia un padrone dispotico: il figlio maggiore si sottomette, il figlio minore si ribella, ma nessuno dei due capisce che il padre li ama. Si può essere buoni cristiani, bravi seminaristi e perfino preti irreprensibili senza essere riconciliati con Dio: obbedienti sì, sottomessi sì, ma non davvero riconciliati con lui.
Siamo riconciliati con Dio quando comprendiamo che ci ama e da parte nostra desideriamo fare la sua volontà per ricambiare il suo amore, non per paura dei suoi castighi. Come afferma la prima lettera di San Giovanni: “Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore” (1Gv 4,18).
Oppure ci sono persone che sono arrabbiate con Dio perché sono state colpite dal dolore e pensano che Dio sia ingiusto perché – secondo loro – avrebbe dovuto impedire che succedesse quel che di fatto è accaduto. In questo caso riconciliarsi con Dio significa non restare bloccati rimuginando senza fine su come è andata e su cosa avrebbe dovuto fare Dio, ma insieme a lui cogliere nuove opportunità, tessere relazioni positive, partecipare della sua infinita creatività.
Anche il peccato, in tutte le sue forme, ci separa da Dio, e allora ci riconciliamo con lui quando – come il figliol prodigo – ci togliamo di dosso la sporcizia che ci fa vergognare e ci lasciamo rivestire nuovamente con la veste candida del battesimo, cioè quando troviamo il coraggio di abbandonare azioni e pensieri indegni dei figli di Dio e decidiamo di cambiare.
Per quanto riguarda la Chiesa, è necessario oggi e sempre che più di ogni altra cosa annunci la misericordia di Dio, che è il cuore del Vangelo. Tutto il resto può essere importante e utile, ma non deve mai oscurare questo annuncio: il figlio maggiore si è scandalizzato e offeso per il perdono “esagerato” riservato a suo fratello, ma il Dio di Gesù è Padre in questo modo, piaccia o non piaccia alle nostre umane idee di giustizia.
Meditazione 4^ domenica di Quaresima 30/03/2025
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