Meditazione 7^ domenica del tempo ordinario 23/02/2025

“Amate i vostri nemici”: molti possono pensare che è impossibile; qualcuno può anche sentirsi in colpa perché prova dei sentimenti di avversione nei confronti di chi gli ha fatto del male… Perché Gesù ci ha chiesto qualcosa di così difficile, se non addirittura impossibile?
In ciascuno di noi è presente l’istinto di conservazione: se qualcuno ci fa del male o comunque ci sentiamo attaccati, scatta in noi la rabbia che ci dà l’energia per difenderci. Siamo fatti così, è la nostra natura. La rabbia che proviamo in quelle situazioni è un sentimento e come tutti gli altri sentimenti non possiamo decidere di averlo o di non averlo, di provarlo o non provarlo. Non è né buono né cattivo: semplicemente c’è, esiste. Buono o cattivo, casomai, è l’uso che ne possiamo fare: l’ira è considerata uno dei sette vizi capitali perché quando si è arrabbiati è facile dire o fare qualcosa di cattivo, ma anche perché se qualcuno si arrabbia molto spesso, anche per cose da poco, allora la sua ira è proprio un vizio, un modo abituale – sbagliato – di rapportarsi con gli altri.
Anche Gesù si arrabbiava, i Vangeli lo testimoniano, ma come si arrabbiava? Qualcuno ha detto giustamente che Gesù odiava il peccato e amava i peccatori, mentre noi tendiamo ad amare il peccato e a odiare i peccatori, quelli che ci fanno soffrire. La rabbia di Gesù gli dava il coraggio e la forza di opporsi alle ingiustizie, di denunciare il male, di non fuggire davanti alle minacce. Anche quando si è fabbricato una frusta con delle cordicelle e ha scacciato i mercanti dal tempio, di sicuro li ha spaventati parecchio, ma non si dice che abbia fatto male a qualcuno. Gesù si arrabbiava davanti alla ipocrisia e alla ingiustizia, ma nei confronti di chi lo ha odiato e condannato a morte si è comportato con mitezza, “come un agnello condotto al macello… e non aprì la sua bocca” (Is 57,3). Non possiamo sapere con certezza quali sentimenti provasse nei confronti delle singole persone: possiamo pensare che quelli che provava per Caifa e Pilato fossero diversi da quelli che provava per i discepoli, ma ha dato la vita per liberare dal male tutti gli esseri umani, compresi quelli che lo hanno flagellato e quelli che lo hanno inchiodato alla croce. Forse li avrà amati anche con i suoi sentimenti, non lo possiamo sapere con certezza: di sicuro li ha amati con i fatti, con le sue scelte, con la decisione di far loro del bene anche se gli facevano del male.
A noi, che non siamo Gesù, non è chiesto di modificare i nostri sentimenti, sui quali non abbiamo alcun potere diretto, ma di non rispondere al male con altro male, anzi: di rispondere al male con il bene. È difficile, è difficilissimo, ma non è impossibile come modificare i propri sentimenti; è una libera decisione che tra l’altro può fare molto bene soprattutto a noi.
Non lo ha detto solo Gesù: in modi diversi e con gradazioni differenti anche Buddha, i filosofi stoici e molti altri saggi ci hanno detto e ripetuto che ci fa male restare prigionieri del rancore. Ma come liberarsi da certi sentimenti e pensieri che – lo sentiamo – ci avvelenano e ci fanno soffrire, però non se ne vogliono andare?
Gesù ci dice di pregare per i nostri nemici. Il libro di preghiere contenuto nella Bibbia, il libro dei salmi, dedica moltissima attenzione ai nemici, ma non nel modo voluto da Gesù. Ci sono moltissime imprecazioni e maledizioni per i nemici, molte richieste perché Dio li punisca nel modo più severo e crudele per il male che hanno commesso. Le espressioni più estreme di queste preghiere sono state cancellate dalla liturgia delle ore (il breviario dei preti) perché decisamente poco “cristiane”. Eppure si può cominciare anche così: piuttosto di dire cose cattive alle persone, o addirittura passare alle vie di fatto, è meglio chiedere a Dio che li strafulmini – tanto non lo farà – e sfogarsi davanti a lui che ha le spalle grosse e conosce i nostri limiti. Poi, parlando con lui, un po’ alla volta sentiremo che gli dispiace che alcuni suoi figli siano così prigionieri del male. E poi forse anche noi sentiremo pena per chi ci ha fatto soffrire perché non capisce il male che fa e sta buttando via la sua vita lasciandola marcire inutilmente.
Amare i propri nemici è un cammino, un pellegrinaggio che può essere anche molto lungo e termina presso il Padre – ora o alla fine dei tempi – là dove tutti i suoi figli capiranno il male che hanno commesso – e chi ne ha commesso di più proverà più dolore – e potranno finalmente comprendersi e perdonarsi a vicenda.


Pubblicato

in

da

Tag: