L’episodio di Emmaus è quasi un riassunto non del Vangelo, ma di tutto quello che accadrà dopo, durante la vita della Chiesa: è una specie di profezia.
Il fatto avviene nel giorno della risurrezione. Nel Vangelo secondo Luca quel primo giorno della settimana contiene tutti gli avvenimenti fino all’ascensione, anche se lo stesso evangelista negli Atti degli apostoli ci fa sapere che in realtà l’ascensione è avvenuta 40 giorni dopo la risurrezione.
Nel Vangelo questo è il giorno senza tramonto, il nuovo “eone”, la “seconda fase” dell’umanità.
I discepoli sono due, ma sappiamo solo uno dei due nomi, Cleofa, perché ciascuno possa identificarsi con l’altro. Camminano uscendo da Gerusalemme perché la missione della Chiesa sarà verso il mondo. Mentre camminano parlano e discutono. Questo secondo verbo può indicare che stanno litigando, perché la fraternità dei discepoli non sarà mai semplice né scontata: va ricostruita sempre daccapo. Gesù si affianca al loro camminare, perché il Signore sarà sempre con noi, ma i loro occhi e molte volte anche i nostri non sono capaci di riconoscerlo. Le domande di Gesù quasi “tirano fuori” dalla loro bocca in modo maieutico tutti gli articoli del kerygma.
Dicono le stesse cose che abbiamo ascoltato nella prima lettura nel discorso di Pietro: Gesù fu un profeta potente che mostrò molti segni, fu crocifisso e morì, ma dopo tre giorni la sua tomba fu trovata vuota e gli angeli apparvero alle donne testimoniando la sua risurrezione. I discepoli sanno tutto, dicono tutto correttamente, ma quel che manca loro è proprio la fede. Di fronte alle delusioni, agli avvenimenti che si svolgono in modo diverso da come si aspettavano, i discepoli saranno sempre tentati di fare delle letture parziali, delle analisi amareggiate e in definitiva mancanti di fede.
Gesù stesso si incarica di far capire loro come il fallimento faccia parte del piano di Dio: è lui stesso che illumina il senso della Scrittura e infonde speranza ai suoi. Forse a volte pensiamo che quel fallimento, la croce di Gesù, sia stato sufficiente una volta per tutte e che dalla risurrezione in poi dovremo raccogliere solo successi con la forza dello Spirito Santo. Non è così: anche se a parole ci diamo le più nobili motivazioni, nel successo molto spesso cerchiamo noi stessi, la nostra soddisfazione personale. Invece nella croce si aprono degli spazi di gratuità, la possibilità di credere in Dio anziché in noi stessi e di amare “a fondo perduto”. Ma questo richiede una conversione totale, la rinuncia ai propri progetti pur nobilissimi, una fiducia illimitata in Dio.
Spesso è nel naufragio dei nostri progetti che possiamo davvero trovare il Signore.
Così, Gesù guida i due di Emmaus alla fede e alla comprensione del pensiero di Dio e loro lo invitano a entrare in casa. Luca dice che “egli entrò per rimanere con loro”. Infatti, dopo che lo riconobbero allo spezzare del pane, non si dice che egli se ne andò, ma che sparì dalla loro vista.
La presenza del Signore è invisibile, ma è fedele: il Signore rimane con noi. Nel sacramento della Eucaristia lui si fa presente, ma non in un modo qualunque: è presente come colui che ha dato la sua vita, come colui che ha accettato di consegnare se stesso, per amore, nelle mani dei suoi nemici, come colui che è stato completamente rifiutato. Questo è ciò che dovremmo vedere nel sacramento che riceviamo ogni domenica.
Solo a questo punto i discepoli sono abilitati alla testimonianza: dopo che hanno compreso la necessità della croce e dopo che hanno sperimentato la presenza del Signore che non li abbandona mai.
Cleofa era il marito di Maria di Cleofa, appunto, la madre di Giacomo e Joses, due dei quattro “fratelli” di Gesù, quindi Cleofa era un parente abbastanza stretto di Gesù, probabilmente uno zio o qualcosa del genere. Non gli era bastato essere un parente, non gli era bastato nemmeno essere un discepolo: anche per lui, come per tutti i credenti di allora e di ogni tempo, era venuto il momento di confrontarsi con una situazione che appariva una “perdita” sotto tutti i punti di vista.
Era arrivato per lui, come viene anche per ciascuno di noi, il momento in cui decidere se andare avanti solo alla luce della fede o tornare “tutti a casa” cercando di salvare il salvabile e rifarsi una vita.
Gesù lo ha accompagnato insieme all’altro discepolo, che siamo noi, sulla strada di Emmaus: ci accompagni sempre il Signore e ci doni di riconoscerlo allo spezzare del pane non solo in chiesa, ma anche nelle croci presenti nelle nostre vite.
Meditazione 3^ domenica di Pasqua 23/04/2023
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