Meditazione 10^ domenica del tempo ordinario 09/06/2024

Nel brano di questa domenica l’evangelista Marco compone insieme due incomprensioni che hanno colpito Gesù: l’incomprensione di quelli che gli volevano bene e l’incomprensione di quelli che gli volevano male.
Quelli che gli volevano bene erano i suoi parenti, compresa sua madre: quello che lui faceva era troppo strano, troppo diverso da quello che facevano gli altri e da quello che ci si aspettava da lui, perciò decisero di andarlo a prendere per riportarlo a casa.
A questo punto l’evangelista esegue un passaggio che nel linguaggio cinematografico si direbbe di dissolvenza e transizione. Il gruppo dei parenti parte da casa e subito dopo si vede arrivare da Gesù un gruppo di persone, ma non sono loro: sono scribi che vengono dalla parte opposta, da Gerusalemme. Vedono i miracoli che Gesù compie con la forza dello Spirito Santo e non potendo negarli li attribuiscono al potere del diavolo. Chiudono gli occhi davanti al bene e si rifiutano di riconoscerlo, per pura ostinazione, per spirito di contraddizione, totalmente in malafede. Ma se nemmeno l’evidenza li può convincere, come potranno essere salvati? Per questo Gesù dice che il loro peccato non sarà mai perdonato: non perché il perdono di Dio abbia dei limiti, ma perché sono loro stessi a rifiutarlo.
Nel frattempo arrivano i parenti, quelli che gli vogliono bene ma lo giudicano in base al buonsenso umano. Il buonsenso è importante, ma non sempre è sufficiente: senza un po’ di buonsenso la fede può cadere nel fanatismo, ma senza slancio verso valori più grandi il cosiddetto buonsenso può ridursi a badare solo al proprio interesse.
I suoi parenti non capiscono Gesù perché non lo ascoltano: l’evangelista dice che mandarono a chiamarlo «stando fuori». Forse avevano paura dei suoi discepoli, o forse gli volevano risparmiare una figuraccia davanti a loro, non lo sappiamo. Sappiamo solo che restarono fuori e quindi non lo ascoltarono: lo giudicarono “dal di fuori” e quindi non poterono capirlo.
Questa incomprensione non riguarda solo Gesù, che ha detto ai suoi discepoli: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).
Nelle decisioni prese secondo coscienza si può andare incontro a opposizioni e incomprensioni.
Opposizioni da parte di persone disoneste e cattive, incomprensioni da parte di persone buone.
Le prime possono creare grossissimi problemi all’esterno, ma le seconde fanno soffrire molto di più perché ci fanno sentire soli e perché ci fanno dubitare di noi stessi. Tuttavia non c’è alternativa onesta al seguire la propria coscienza.
Nel 2007 la Chiesa ha beatificato Franz Jaegerstaetter, un contadino e sacrestano austriaco che nel 1943 fu processato e giustiziato per essersi rifiutato di combattere nell’esercito di Hitler. Oggi tutti lo ammiriamo, ma allora tutti tutti cercarono di dissuaderlo, anche i preti e perfino il vescovo.
Solo la moglie lo sostenne nella sua decisione, benché avessero tre figlie piccole.
Non è sempre facile capire la volontà di Dio, ma una volta che si sia formato in noi un giudizio ragionevolmente sicuro, la Chiesa ci insegna che dobbiamo seguire la nostra coscienza. Ma come possiamo essere sicuri del nostro giudizio?
Non esiste un algoritmo per la coscienza, tuttavia ci sono dei criteri, anche se nessuno di essi è assoluto, specialmente se preso da solo. Il primo è sicuramente l’ascolto, della parola di Dio in primo luogo (come dice il Vangelo di oggi) ma anche delle altre persone: infatti non è stato Gesù a rifiutarsi di parlare con i suoi parenti, ma sono stati loro a rimanere fuori. Non si potrà essere sempre d’accordo, ma è doveroso comunque ascoltare umilmente. Il secondo è non nuocere a nessuno, o il meno possibile (minor male). Il terzo è il rispetto dei propri doveri di stato, specie degli impegni più solenni presi davanti a Dio. Ma, ripeto, non si tratta solo di un ragionamento, bensì dell’ascolto della “voce” di Dio, ascolto che può ispirare a ciascuno scelte diverse, anche “strane”, e perciò può esporre a incomprensioni molto dolorose.
Un testo del Concilio Vaticano II afferma: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa’ questo, evita quest’altro. […] La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium et Spes 16).
E ben prima del Concilio San Paolo aveva scritto: «L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui e non è capace di intenderle perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. […] Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo (1Cor 2,14-16).


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