Meditazione 13^ domenica del tempo ordinario 02/07/2023

Il brano di questa domenica conclude il discorso missionario di Gesù. È importante tenere presente questo contesto, altrimenti non si capisce il senso delle parole del Signore. Infatti, quando Gesù dice «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me» non sta facendo una classifica dei sentimenti: sta dicendo a quelli che ha incaricato della missione che non possono accampare scuse.
Su questo punto, però, bisogna capirsi bene.
Dopo che ho scritto il libro sull’abuso spirituale hanno cominciato a cercarmi parecchie persone che hanno subito in passato questo tipo di abuso. Tra queste, mi ha telefonato una persona che quando era adolescente faceva parte di una famiglia che ha deciso di andare in missione all’estero. Di famiglie missionarie ne ho conosciute diverse e sono stato edificato dal loro coraggio e dal loro impegno. Per quella persona, però, dover andare all’estero durante l’adolescenza, rompendo tutte le sue amicizie e inserendosi in una scuola di cui non conosceva la lingua, è stato disastroso. I suoi genitori, a quanto mi ha detto, non hanno voluto venire incontro ai suoi bisogni proprio perché ritenevano di dover mettere al primo posto le esigenze della missione: «Chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me».
Era proprio volontà di Dio che questa persona subisse i traumi che ha vissuto? Era proprio volontà di Dio che quei genitori continuassero la loro opera di evangelizzazione senza tener conto della sofferenza vissuta dai loro figli? È questo il senso delle parole di Gesù?
In queste cose occorre discernimento. Il Signore può chiederci di soffrire, di prendere la nostra croce, ma se pensiamo che ci chieda di far soffrire, di crocifiggere qualcun altro, allora dobbiamo essere molto, molto cauti.
Un conto è il dispiacere di un genitore per un figlio che sceglie il sacerdozio o la vita religiosa: anche se il papà o la mamma non sono d’accordo, i figli hanno il diritto di vivere la loro vita, di fare le loro scelte, di realizzare i propri desideri e non quelli dei genitori. La libertà di ogni persona è sacra e inviolabile.
Se invece parliamo di infliggere sofferenze a una persona molto giovane che non ha gli strumenti per elaborare il proprio dolore, o addirittura a un bambino, allora credo sia blasfemo dire che questa è volontà di Dio.
La volontà di Dio dev’essere compiuta senza se e senza ma, come si dice adesso, ma prima bisogna capire bene qual è questa volontà, eventualmente distinguendola dalla volontà di un superiore che crede di essere illuminato solo perché ha un ruolo di autorità.
La vita va spesa donandola, questo è ciò che ci insegna Gesù: «Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà», ma riconosciamo la qualità evangelica di questo dono dai suoi frutti, frutti di bene e di gioia, non frutti di rabbia e di dolore, come dice la lettera di San Paolo ai Galati: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
Chi è incaricato di evangelizzare deve portare il Vangelo dentro di sé, deve mostrarne i frutti nella propria vita. Per questo non può rendersi insensibile al dolore, non solo dei propri figli, ma di ogni creatura. Vale anche per la missione ciò che San Francesco di Sales diceva della devozione: «L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio».


Pubblicato

in

da

Tag: