Meditazione 14^ domenica del tempo ordinario 09/07/2023

Il brano di oggi è una specie di “masso erratico” nel Vangelo secondo Matteo: il linguaggio sembra addirittura quello dell’evangelista Giovanni. Questo per dire che il contesto, stavolta, ci aiuta fino a un certo punto a capire il senso del brano. Si parla comunque in tutto il capitolo della accoglienza o non accoglienza di Gesù e questa è la conclusione: non sono stati i sapienti e i dotti in Israele ad accogliere Gesù, ma i “piccoli”.
Di per sé, questo non sembra essere un buon segno e nel Vangelo secondo Giovanni ad un certo punto i farisei lo fanno notare: «Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!» (Gv 7,48-49). Forse per essere credenti bisogna rinunciare a capire? Bisogna rinunciare a usare la propria intelligenza?
No, non è necessario, anzi è pericoloso: la fede senza intelligenza può generare il fanatismo, con tutto quel che ne consegue. Non è l’intelligenza l’ostacolo alla fede, ma la presunzione; per essere credenti non bisogna essere stupidi o ignoranti, ma umili.
La fede non consiste prima di tutto in qualcosa da capire, anche se poi ci sono tantissime cose da scoprire, conoscere, approfondire. Prima di tutto la fede consiste nell’affidarsi a Dio, nel fidarsi di lui, nel mettersi nelle sue mani. La fede in Dio è una relazione nella quale riconosciamo la nostra piccolezza e di conseguenza ci affidiamo a Lui.
Per questo Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et Exultate ai nn. 36-46 ci ha messo in guardia contro un pericolo che ha chiamato “gnosticismo”: che cos’è? «In definitiva, si tratta di una vanitosa superficialità», «credere che, poiché sappiamo qualcosa o possiamo spiegarlo con una certa logica, già siamo santi, perfetti, migliori della “massa ignorante”. San Giovanni Paolo II metteva in guardia quanti nella Chiesa hanno la possibilità di una formazione più elevata dalla tentazione di sviluppare un certo sentimento di superiorità rispetto agli altri fedeli.
Quel che crediamo di sapere dovrebbe sempre costituire una motivazione per meglio rispondere all’amore di Dio».
Il brano del Vangelo però non finisce qui, ma termina con le parole di Gesù che invita gli affaticati e gli oppressi a prendere su di sé il suo giogo dolce e leggero.
Si tratta di una metafora riferita al suo insegnamento: nel linguaggio dell’epoca il “giogo” stava a significare l’obbedienza ai comandamenti della Legge di Mosè. Rispetto ad altri maestri duri e inflessibili nell’applicare minuziosamente quei comandamenti alla vita delle persone, col risultato di opprimerle e sfinirle, Gesù si pone come un maestro mite e umile che chiede un’obbedienza più facile: un “giogo”, appunto, dolce e leggero.
Anche su questo punto vorrei ricordare l’insegnamento di Papa Francesco che subito dopo aver parlato dello gnosticismo, ai nn. 47-62 parla anche del pelagianesimo, cioè di coloro che «fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico».
La santità non consiste nel diventare sempre più bravi, in prestazioni sempre più difficili, ma nel corrispondere all’amore di Dio con l’amore al prossimo, con la carità, con la misericordia. Vivere la religione come uno sforzo perfezionistico, come un continuo autocontrollo, come una tensione che non si allenta mai, porta necessariamente a sentirsi “affaticati e oppressi”, o addirittura alla disperazione.
Gesù non chiede questo. Soprattutto non ci chiede di fare affidamento solo sulle nostre povere forze, perché sa che sono limitate. Il “giogo”, il peso che ci chiede di portare è leggero perché lo porta lui insieme a noi: ci chiede di accorgerci di quanto ci ama, in modo che nasca in noi il desiderio di ricambiare questo amore.
In sintesi: i discepoli di Gesù non sono i più intelligenti e non sono nemmeno i “più bravi”, ma sono quelli che hanno creduto, con umiltà e gratitudine, che il Signore li ama. E perciò sono felici, anche nelle prove e nei dolori di questa vita.


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