Meditazione 17^ domenica del tempo ordinario 30/07/2023

Il brano del Vangelo di questa domenica riporta la conclusione del discorso in parabole di Gesù nel Vangelo secondo Matteo. Due parole hanno attirato la mia attenzione in modo particolare: il tesoro e la gioia. Sono due parole intimamente connesse: quando si trova un tesoro si prova gioia, ovviamente, e quando si prova gioia è perché abbiamo trovato qualcosa di bello e prezioso: un tesoro, appunto, qualcosa che affascina e attrae, che suscita un grande desiderio.
A chi è rivolta questa parabola? Ai discepoli di Gesù, ovviamente, a quelli che in ogni tempo hanno deciso di seguirlo con gioia perché affascinati dalla sua persona e dal suo messaggio, pronti anche a mettere tutto il resto della loro vita in secondo piano o addirittura a lasciare tutto pur di essere con lui.
Ma questa parabola si può leggere anche in un altro modo, se vogliamo. Ogni autore mette un po’ di se stesso nei suoi racconti, e anche Gesù mentre narra le parabole ci rivela qualcosa di sé.
Gesù, nel suo girovagare per la Palestina, era simile a un mercante di perle preziose: che tesori cercava? Di cosa si era innamorato? Della nostra umanità che, per quanto imbruttita dal peccato, ai suoi occhi non aveva perso la sua bellezza. Scavando nel campo della vita di tutti i giorni, così prosaico, spesso banale e non di rado sporco, sotto molti strati scorie accumulate nel tempo, Gesù cercava di ritrovare la nostra bellezza perduta, l’innocenza della nostra infanzia spesso ferita, lo slancio coraggioso verso il bene, la generosità che abbandona i calcoli del dare e avere, la capacità di tenerezza e tutto il bene che Dio ha messo in noi.
Sotto questo aspetto umano di Gesù San Giovanni e San Paolo hanno intuito l’amore di un Dio che ha rinunciato alle proprie prerogative divine, in un certo senso ha venduto tutto quello che aveva e che era, facendosi uomo, per riscattare e riguadagnare la bellezza dell’umanità.
Non so quanti cristiani vivano la propria appartenenza a Dio con gioia, come un tesoro prezioso di cui essere felici: a volte prevale l’abitudine, la noia, il senso del dovere. Se poi guardiamo ai sacerdoti, oggi molti, per tanti motivi, si trovano a vivere il ministero come un peso gravoso da trascinare avanti, non come la scoperta di qualcosa di prezioso: ci sono molti abbandoni, molte richieste di “anni sabbatici”, molti segnali di disagio e di crisi.
Ci possono essere molte cause che appannano o addirittura cancellano la gioia di appartenere al Signore e di servirlo nei fratelli: alcune dipendono da noi, altre, invece, no.
Per quanto riguarda noi, è importante rinnovare frequentemente la consapevolezza che il Signore ci vuole bene e ha fiducia in noi: se non gli fossimo piaciuti non ci avrebbe nemmeno creato e avrebbe messo qualcun altro al posto nostro. Prima di richiamare alla mente tutti i nostri doveri e le cose da fare, è importante ricordare quotidianamente a noi stessi che siamo amati da Dio, che siamo preziosi ai suoi occhi, che gli stiamo a cuore. Questa dovrebbe essere la nostra preghiera: non soltanto una serie di richieste, ma soprattutto un rinnovare la fede nel suo amore. Non c’è un tesoro più prezioso di questo: siamo amati di un amore appassionato ed eterno.
Per quanto riguarda il resto, preghiamo che il sinodo indetto da Papa Francesco possa portare alla Chiesa ciò di cui abbiamo bisogno. Otto secoli fa sono nati gli ordini mendicanti, che prima non c’erano; quattro secoli fa sono nati i seminari, che prima non c’erano; nel secolo scorso sono nati i movimenti ecclesiali… In ogni tempo Dio dona nuove energie e nuovi modi di vivere la fede, la speranza e la carità.
Le strutture possono e a volte devono cambiare: qualche volta è necessario vendere anche i più cari ricordi di famiglia, abbandonare le cose alle quali si era affezionati, per abbracciare l’unico necessario.


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