Meditazione 2^ domenica di Pasqua 07/04/2024

Le letture domenicali cambiano ogni tre anni, ma ogni anno il Vangelo della seconda domenica di Pasqua rimane lo stesso, segno della sua importanza. È un brano che parla di molte cose: la situazione della prima comunità cristiana, i doni del Risorto e anche l’incredulità di Tommaso che diventa l’occasione per un insegnamento sulla fede. San Gregorio Magno disse: «Quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell’incredulità. L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli» (Omelia 26). Il racconto infatti ci mostra un uomo non disponibile a farsi convincere dal racconto degli altri discepoli, così come d’altra parte loro stessi non avevano creduto all’annuncio delle donne del loro gruppo. La morte in croce di Gesù era per loro un fatto assolutamente indubitabile ed era assurdo solo pensare che potesse essere ancora vivo. Non siamo alla presenza di un gruppo di esaltati che si inventa una bella favola per superare il trauma della morte del proprio leader. Al limite, forse, qualcuno di loro avrebbe potuto autoconvincersi di questo, ma gli altri non lo avrebbero seguito. Non i discepoli di Emmaus che stavano già andando a casa amareggiati; non Pietro che aveva perso ogni autorevolezza perché tutti ne conoscevano il rinnegamento; non Tommaso che in fondo chiede solo quello che gli altri hanno già ricevuto. La comunità di Gesù ha creduto alla sua risurrezione perché lo ha visto vivo. È vero che lui alla fine del brano dice: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Questo versetto si riferisce al discepolo amato che credette quando entrò nel sepolcro e non vide il Risorto, ma solo i segni della sua assenza.
Fino a non molto tempo fa questa frase veniva tradotta in modo diverso, coniugando il verbo al futuro: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno». Credo che si traducesse così per dare a noi un incoraggiamento a credere, ma non c’è bisogno di “correggere” le frasi del Vangelo, basta continuare a leggerlo. Dice infatti l’evangelista Giovanni: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31). Noi non abbiamo la possibilità di vedere Gesù, ma possiamo leggere in questo libro alcuni (sette) dei “segni” che ci ha dato: se vogliamo, sono sufficienti per credere in lui e per ricevere così una vita nuova, più piena, più umana perché divina, animata dallo Spirito di Dio. Possiamo fidarci del racconto di chi ha visto, udito e toccato, come dice lo stesso San Giovanni all’inizio della sua prima lettera: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1Gv 1,1-4).
Non sono favole, non sono sogni: è la testimonianza di donne e uomini come noi che prima hanno dubitato e poi hanno creduto, che prima si sono arresi di fronte alla morte e poi hanno scoperto che la vita è più forte, che prima sono fuggiti e si sono nascosti per la paura e poi sono usciti e hanno testimoniato perché hanno capito di essere immortali.
Non dobbiamo meravigliarci o scandalizzarci quando anche in noi sorgono dubbi, specie davanti alla morte e al dolore: è umano. Ma è quello il momento giusto per pregare e chiedere al Signore di illuminare la nostra mente e il nostro cuore, così che credendo in lui la nostra vita faccia un salto di qualità e si apra ai suoi doni.


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