Meditazione 2^ domenica di Quaresima 16/03/2025

Il mercoledì delle ceneri, Papa Francesco ha pubblicato per la quaresima un messaggio con alcune riflessioni su cosa significa camminare insieme nella speranza, riflessioni che ci possono aiutare a leggere il brano evangelico di questa seconda domenica di quaresima. Trovo infatti almeno due importanti punti di contatto tra il messaggio del Papa e il Vangelo di oggi.
Il primo è nel versetto in cui si dice che «Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme», ma la parola usata per dire ‘dipartita’, letteralmente, è ‘esodo’: Mosè ed Elia parlavano dell’esodo di Gesù. All’inizio del suo messaggio Papa Francesco si rifà al motto del Giubileo, “Pellegrini di speranza” e dice che questo motto fa pensare all’esodo del popolo d’Israele verso la terra promessa, «il difficile cammino dalla schiavitù alla libertà, voluto e guidato dal Signore, che ama il suo popolo e sempre gli è fedele».
Subito dopo il Papa suggerisce che «ognuno può chiedersi: […] Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità?». “Zona di comodità” è la traduzione di “comfort zone”, che è lo stato mentale in cui ci si sente al sicuro dalle minacce e dalle sfide del mondo esterno, a proprio agio, senza ansia e senza stress. È un meccanismo di difesa che mantiene l’equilibrio emotivo evitando le sfide: chi rimane in quest’area si sente tranquillo, ma non cresce e non impara niente di nuovo.
Nel racconto della trasfigurazione – e questo è il secondo punto di contatto che trovo tra i due testi – Pietro dice a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”: desidera rimanere nella sua zona di comodità proprio mentre Gesù sta andando verso il suo esodo di morte e risurrezione.
È più che comprensibile che Pietro senta il desiderio di prolungare quel tempo di estasi nel quale è stato affascinato dallo splendore della gloria di Gesù, ma non è questo il momento, non è questo il punto di arrivo del suo cammino.
A volte il Signore concede anche a noi, nella preghiera personale, nella liturgia o in altre occasioni, delle intense consolazioni nelle quali ci sentiamo più vicini a lui e in pace con noi stessi, ma non dobbiamo dimenticare che siamo ancora in pellegrinaggio verso la casa del Padre: non siamo arrivati e non dobbiamo fermarci nella nostra zona di comodità.
Lo dico prima di tutto a me stesso: invecchiando sento di avere meno voglia di affrontare nuove sfide e lanciare nuove iniziative. Diventa più forte la voglia di fare solo le solite cose e magari neanche quelle. Invece Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ci invita a essere “chiesa in uscita”, a “vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni”.
Oggi sono sempre più diffuse certe spiritualità del benessere che cercano di costruire non solo tre tende per Gesù, Mosè ed Elia, ma una anche per sé, possibilmente comoda. Ma ‘spiritualità’ significa “vita animata dallo Spirito Santo”, dallo Spirito di Gesù. Significa vivere come lui e quindi partecipare al suo esodo passando, con la sua guida, dalla schiavitù del peccato e dell’egoismo alla libertà dei figli di Dio, dalla servitù al servizio.
Tutto questo non significa che la vita cristiana debba essere uno sforzo continuo o, peggio, una continua sofferenza. È vero che l’esodo non è una passeggiata, ma al di fuori dalla nostra zona di comodità non ci sono solo stress, sfide e problemi: ci sono opportunità, sorprese e incontri.
La trasfigurazione non è un punto di arrivo: ci ricorda che il termine del nostro esodo non è il buio del calvario, ma la luce del mattino di Pasqua.


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