Meditazione 20^ domenica del tempo ordinario 20/08/2023

Nell’antichità la religione era soprattutto un sistema di riti e simboli che esprimevano un’identità sociale. Ad esempio, secondo Cicerone, religio era la “giusta venerazione degli dei giusti” (vale a dire, riconosciuti dallo Stato); il contrario era superstitio: la religione degli altri.
Anche in Israele, nonostante l’originalità della sua fede, la religione aveva una forte connotazione nazionalista: Dio era “il Dio di Israele” e Israele era “il popolo che Dio si è scelto”. I pagani erano, a seconda del momento storico, oggetto di timore o di disprezzo, o di tutti e due.
Nel mondo di oggi, soprattutto dopo l’attentato del 2001 a New York, sta ritornando questa concezione politico-religiosa: Donald Trump negli USA, Putin in Russia, formazioni politiche in Francia e Italia ma anche in Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca… politici di varie tendenze che magari vivono con poca o nessuna moralità personale si propongono tutti come difensori del cristianesimo, concepito come cultura, tradizione, identità nazionale.
Il brano del Vangelo di questa domenica lascia sconcertati perché, specialmente all’inizio, sembra che Gesù condivida questa concezione di religione. A una povera donna che chiede aiuto per sua figlia e che pure professa la fede in lui (lo chiama “figlio di Davide”, cioè Messia) Gesù oppone un rifiuto durissimo che continua anche quando i discepoli lo implorano, motivato dal fatto che la donna non appartiene al popolo eletto.
Tra l’altro, anche i discepoli non fanno qui una bella figura: supplicano Gesù di esaudire la donna non perché impietositi dalla sua disgrazia, ma per togliersela di torno, dato che li segue gridando.
Alla fine però l’insistenza della donna e il rifiuto di Gesù portano al formidabile dialogo conclusivo in cui Gesù loda la “grande fede” di lei, contrapposta a quella dei discepoli che in molte occasioni si è dimostrata “poca”.
Siccome non credo che l’evangelista volesse far fare brutta figura a Gesù, penso che questo brano cerchi di accompagnare il lettore nella conversione, facendolo uscire dall’idea di religione propria di quel tempo, cioè un sistema di simboli e riti capaci di dare identità e coesione a una nazione, per arrivare a comprendere che per Dio non ci sono stranieri, ma solo figli e figlie, e che il messaggio evangelico ha una destinazione universale ed è chiamato a incarnarsi in tutte le culture assumendole, non azzerandole.
Se il cristianesimo dovesse ritornare a essere un’identità culturale o addirittura nazionalistica, com’è stato in passato, la missione tornerebbe a essere colonialismo, la religione instrumentum regni e il dialogo interreligioso una pace armata, se tutto va bene, o una guerra aperta, se tutto va male.
In questo nostro tempo può essere molto forte la tentazione di ritrovare un’identità e un ruolo contrapponendosi a uno o più avversari e di sostenere alleati politici generosi dispensatori di favori. Ma la religione non è questo, non è uno “scontro di civiltà”, non è una bandiera politica: è questione di fede, cioè di fiducia in Dio, e di attenzione e cura nei confronti del prossimo, anche se è samaritano o cananeo. È guarigione e liberazione dal male, personale e sociale. È un ideale di fraternità universale che forse non sarà mai realizzato del tutto, ma al quale dobbiamo tendere perché abbiamo tutti una sola origine e un unico punto di arrivo: Dio.


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