Meditazione 23^ domenica del tempo ordinario 10/09/2023

Nel discorso della montagna Gesù dice: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello» (Mt 7,3-5). Nel brano del Vangelo di oggi invece invita a correggere il fratello che sbaglia. Allora, bisogna o non bisogna parlare quando qualcuno fa qualcosa di sbagliato?
Di sicuro è più facile girarsi dall’altra parte e lasciare che chi sbaglia si arrangi con Dio e con la sua coscienza, a meno che non abbia fatto un torto proprio a me, nel qual caso esplode tutta l’aggressività di cui sono capace. Ma in effetti il brano di questa domenica comincia proprio così: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te…».
Qui non si tratta di erigersi a maestri di vita e di morale per dispensare giudizi e consigli non richiesti, ma del modo in cui si sceglie di rispondere a un torto ricevuto. Gesù sa che anche nella comunità dei suoi discepoli sorgeranno liti e incomprensioni, come in tutti i gruppi umani. Sa anche benissimo che queste liti e incomprensioni possono distruggere la comunità: questioni di soldi, invidie, gelosie, maldicenze, piccole o grandi cattiverie… Prevenire del tutto e impedire queste cose è impossibile: quel che è possibile, anche se molto costoso, è cercare di ricostruire i rapporti. Sarebbe più facile saltare subito alla conclusione e considerare quelli che ci hanno fatto un torto alla stregua dei pagani e dei pubblicani, cioè estranei con cui non si vuole avere niente a che fare, ma ci è richiesto invece di fare tutto il possibile per ricostruire i rapporti.
Il Signore ci invita a non rassegnarci alla divisione e alla disunione, a prendere l’iniziativa della riconciliazione, anche chiedendo aiuto ad altri, se necessario, per poter ricostruire la realtà dei fatti in modo il più possibile vero, oggettivo, non deformato dalla parzialità. È importante poter chiamare i fatti col loro nome, ma anche questo non è un assoluto, perché a volte le persone proprio non riescono a vedere i fatti diversamente dal loro punto di vista, e allora bisogna saper accettare anche la loro cecità parziale e selettiva: anche questa è carità.
Alla fine, nonostante tutto, è ancora possibile che la nostra iniziativa non abbia successo, ma prima bisogna provare e riprovare. Non all’infinito: Gesù sa che esiste l’ostinazione e allora a un certo punto ci invita a lasciar perdere chi non vuole riconoscere i propri torti, ma questo è ben diverso dalla vendetta e dalla maldicenza che oggi si amplificano sui social media.
Essere davvero uniti in Cristo, cioè nel bene, è qualcosa di straordinario, non scontato: richiede di superare molte tentazioni che portano alla divisione e di attuare molti sforzi e attenzioni per costruire l’unità, che pure rimane dono di Dio. Per questo Gesù si lancia alla fine del brano in una promessa che può sembrare esagerata: «Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà».
Ovviamente Gesù non pensa che questi suoi due discepoli chiederanno di vincere la lotteria, perché hanno sacrificato tanto di se stessi per costruire l’unità e superare tutto ciò che divide. I discepoli veri, cioè quelli che hanno anteposto l’unione con Cristo e tra loro a tutto il resto, capiscono e sanno che cosa è veramente buono, cercano e compiono la volontà del Padre, desiderano e chiedono secondo il cuore di Dio: «Sia fatta la tua volontà». Essi conoscono per affinità interiore, quasi per istinto, ciò che il Padre vuole, lo chiedono e l’ottengono.
Non è Dio che deve fare la nostra santissima volontà, ma siamo noi che dobbiamo cercare di comprendere e attuare la sua, e se impariamo a essere uniti tra noi rigettando l’individualismo e l’egoismo, la nostra ricerca sarà più facile e più sicura.


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