Le parabole di Gesù sono sempre paradossali, cercano di farci cambiare mentalità, e nella lingua del Nuovo Testamento “cambiamento di mentalità” si dice “metànoia” e si traduce “conversione”.
In modo particolare, però, la parabola dell’amministratore disonesto ci lascia perplessi, almeno a un primo ascolto. Il padrone, che ha scoperto di essere imbrogliato dal suo amministratore, gli annuncia il licenziamento, ma quando poi quest’ultimo lo imbroglia ancora di più, lo loda. Non lo ammira perché è disonesto, ma perché è furbo. Con il linguaggio di oggi potremmo dire che il padrone ha incassato sportivamente la sconfitta: ha capito di essere stato imbrogliato un’altra volta e capisce che per ora non c’è più niente da fare. Forse in futuro troverà il modo di fargliela pagare, magari di vendicarsi, ma intanto riconosce che quell’altro è stato più furbo di lui. Una volta ho conosciuto uno così, un uomo di affari che sapeva come va il mondo, uno che era stato imbrogliato e probabilmente aveva anche imbrogliato a sua volta. Non si poneva il problema del giusto e dell’ingiusto, del bene e del male, ma solo del profitto. Per lui gli affari erano una specie di tavolo da gioco con le sue proprie regole: vinca il più furbo! Perciò non si arrabbiava più di tanto quando perdeva. Credo che anche Gesù abbia conosciuto uomini così, infatti il Vangelo di oggi si conclude con queste sue parole: «I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (v. 8).
Ovviamente non dobbiamo imitare la disonestà di quell’amministratore, ma possiamo comunque imparare qualcosa da lui. Un secolo dopo Gesù, uno studioso ebreo, Shimon Ben Zoma, disse: «Chi è saggio? Colui che impara da ogni uomo». Cosa possiamo imparare dal comportamento di quell’uomo disonesto?
Prima di tutto, quando viene scoperto, non si dichiara innocente, non fa la vittima, non tira fuori scuse, non accusa altri. Sa di essere colpevole e non cerca inutilmente di modificare il passato né si lascia abbattere, ma si interroga su quel che potrà ancora fare nel futuro immediato: “Cosa farò?” (v. 3).
Poi, per decidere, parte dalla realtà e riconosce i propri limiti, incapacità e impotenze: “Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno” (v. 3).
Infine, avendo compreso la gravità e la precarietà della sua situazione, agisce con decisione, con rapidità e senza tentennamenti (cf. v. 6: “subito”).
Riconoscere le proprie responsabilità e le proprie colpe; essere consapevoli dei propri limiti e delle proprie incapacità; agire senza indugi, prima che sia troppo tardi: quanti “figli della luce” (v. 8) sono capaci di agire come questo disonesto ma scaltro “figlio di questo mondo”?
Ci sono persone che non riescono a riconoscere i propri errori, non li vedono proprio; altri non sono capaci di assumersene la responsabilità e (si) raccontano un sacco di storie; altri ancora restano paralizzati dai sensi di colpa oppure si illudono di poter fare chissà cosa per rimediare agli errori commessi. Invece il Vangelo (buona notizia) ci dice che possiamo e dobbiamo confidare nel perdono di Dio e compiere umilmente quel bene che è alla nostra portata.
Meditazione 25^ domenica del tempo ordinario 21/09/2025
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