Meditazione 25^ domenica del tempo ordinario 24/09/2023

Nel rileggere ancora una volta la parabola di questa domenica mi è tornato in mente il finale di un romanzo di Bruce Marshall pubblicato nel 1949, intitolato appunto “A ciascun uomo un soldo”. È la storia di un prete francese, Gaston, tra le due guerre mondiali, un prete umilissimo e povero che osserva le incomprensibili vicende del mondo (e della Chiesa) con una fede che confina col fatalismo. Alla fine, mentre vecchio, zoppo e quasi cieco va in treno a raggiungere la sua nuova destinazione, alla quale i superiori lo hanno assegnato senza alcuna considerazione per la sua condizione, viene colpito da un pensiero:
«Il treno proseguiva la sua corsa rumorosa lungo la galleria, ma Gaston non si accorgeva delle stazioni, perché stava pensando ai misteri del Signore e riflettendo che lui li capiva in modo molto imperfetto. Uno, però, gli pareva di cominciare a capirlo, e cioè perché tutti gli operai della vigna ricevevano un denaro, sia che avessero portato il peso della giornata e del caldo oppure no.
Pensava che la ragione era questa: che tanta parte del lavoro era ricompensa a se stessa, come tanta parte del mondo era castigo a se stessa».
È proprio così: se parliamo del lavoro agricolo stagionale, non troveremo nessuno che paghi un’ora come se fosse una giornata. Avrebbe tutto il diritto di farlo, se volesse, ma chi butta via così i propri soldi?
Se invece parliamo della vigna del Signore, che nel Primo Testamento è il popolo di Israele e nel Nuovo è la Chiesa, allora la logica del premio e del merito non basta. È vero che ciascuno di noi sarà giudicato secondo le sue opere, ma è anche vero che poter seguire e servire il Signore è una grande fortuna o, più precisamente, una grazia, la grazia. Certo, alla fine ci dev’essere anche un sollievo al “peso della giornata” che per qualcuno è pesantissimo: quelli che piangono dovranno pur essere consolati, e gli affamati di giustizia dovranno essere saziati! Ma quelli che sono rimasti oziosi fino alle cinque del pomeriggio perché nessuno li ha voluti, quelli che non hanno potuto o saputo impiegare le loro forze per qualcosa di buono, forse saranno andati in giro a divertirsi, o avranno bevuto all’osteria, ma alla fine della giornata hanno dovuto constatare la propria inutilità… non sono più fortunati degli altri, di quelli che hanno lavorato duramente, perché il tempo passa per gli uni e per gli altri, ma rimane solo ciò che si è donato.
A questo punto vorrei staccarmi un po’ dal significato della parabola per esporre un mio pensiero sulle “tentazioni degli operai della vigna del Signore” che sono tutte tentazioni di non lavorare, ma per motivi diversi.
All’inizio le tentazioni più comuni sono quelle della pigrizia e del timore. I giovani che potrebbero lavorare nella vigna possono pensare che non vale la pena di impegnarsi subito perché c’è ancora molto tempo davanti e magari si potrebbe presentare un’occasione migliore. La giovinezza è diventata un’età lunghissima e può trasformarsi in un grande parcheggio, in attesa dell’occasione “giusta” che però rischia di non arrivare mai. Il Signore chiama a tutte le ore, è vero, ma la sua pazienza e disponibilità non deve diventare un alibi per la nostra ignavia.
Intorno a mezzogiorno, col caldo e la fatica, si fa vivo quello che gli antichi monaci chiamavano “il demone meridiano” e che i moderni psicologi hanno chiamato “la crisi di mezza età”, verso i 40-50 anni. Il lavoratore si accorge che le cose non sono andate come sperava all’inizio, che forse avrebbe potuto ottenere di più dalle sue fatiche, che nel tempo rimanente non sarà possibile avere tutto… allora è tentato di pensare che in fondo c’è ancora la possibilità di ricominciare da capo, di recuperare il tempo perduto. Forse ce la farà, forse no, ma se abbandona il suo posto di sicuro perde tutto quello che ha fatto fino a quel momento.
Verso sera le forze cominciano a venire meno e la tentazione è quella di mollare, di trovarsi un posticino all’ombra, soprattutto se il carico di lavoro invece di diminuire aumenta. Oppure si può essere tentati di pessimo, di credere che i frutti raccolti non siano in proporzione al sudore che si è sparso. Riguardo alla prima tentazione si deve ricordare che il Signore non è un aguzzino e non pretende che i suoi servi muoiano di fatica, ma non deve comunque venire mai meno lo spirito di servizio e di amore, anche quando si può fare meno di una volta. Riguardo alla seconda, invece, si deve ricordare che la vigna è del Signore ed è lui che pesa i frutti, spesso invisibili ai nostri occhi.
Sì, il lavoro nella vigna del Signore è premio a se stesso e perciò si deve vendemmiare cantando, per alleviare la fatica e soprattutto per dire la nostra gratitudine a colui che ci ha chiamato.


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