Meditazione 27^ domenica del tempo ordinario 08/10/2023

In questa domenica la prima lettura e il Vangelo parlano di una vigna e del suo padrone che si aspetta di raccogliere buoni frutti. Nella prima lettura è proprio la vigna che si rifiuta di produrre frutti buoni: «Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi» (Is 5,7). Nel Vangelo invece sono i vignaioli che hanno fatto un buon raccolto ma si rifiutano di consegnare al padrone quanto gli è dovuto, per questo Gesù dice ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». Quali sono questi frutti? San Paolo nella Lettera ai Galati dice: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
Abbiamo quindi due modi diversi di descrivere il frutto che Dio si attende: per il profeta Isaia è la giustizia sociale, una società e un mondo senza ingiustizie né sopraffazioni; per San Paolo si tratta piuttosto di nove atteggiamenti interiori.
Credo che non si debbano contrapporre queste due visioni, ma si debbano tenere insieme: gli atteggiamenti interiori non devono rimanere chiusi nella sfera del privato ma devono tradursi in qualcosa di visibile, concreto e collettivo, non individualista. D’altra parte ormai dovremmo sapere che anche i migliori programmi di riforma sociale sono destinati a naufragare se non sono animati dalla carità e temperati dalla misericordia: in nome della giustizia e dei grandi ideali nella storia si è sparso tanto sangue…
Il frutto che Dio si attende è quindi contemporaneamente visibile e invisibile: matura nel segreto della coscienza ma si manifesta all’esterno, nelle relazioni tra le persone; produce risultati concreti ma è animato da una forza interiore.
Purtroppo oggi abbiamo ancora gli stessi problemi denunciati da Isaia: gli spargimenti di sangue e le grida degli oppressi non sono un brutto ricordo, ma cronaca quotidiana. I problemi e i bisogni nel mondo sono tantissimi e non è detto che ci possa essere un solo modo per affrontarli: sicuramente voltarsi dall’altra parte è un modo per non portare frutto, ma ci possono essere approcci diversi nel tentare di risolvere situazioni complesse e problematiche. Edificare una società più giusta e inclusiva è il grande problema di oggi e nessuno ha la ricetta in tasca: molto spesso volano le accuse e anche gli insulti e le calunnie tra coloro che hanno differenti visioni dei problemi e delle possibili soluzioni, mentre invece abbiamo bisogno di dialogo e di ascolto per capire come venirne a capo.
I frutti che Dio si aspetta nascono da un’interiorità riconciliata, non dalla polemica.
Anche nella Chiesa mi sembra che si stia facendo strada lo spirito di contesa, di giudizio, di accuse pesanti in nome di valori che si ritengono irrinunciabili, ma se viene meno la carità, non possono essere questi i frutti che Dio ci chiede.
Nel Libro dell’Apocalisse il Signore dice: «Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza […] Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima» (Ap 2,2-5). Da questo comprendiamo che i criteri in base ai quali Dio approva e fa sue le nostre opere hanno a che fare soprattutto con la carità. Le nostre azioni spesso vanno avanti – con costanza, dice San Giovanni – per abitudine o per motivi magari rispettabili, ma che non sempre derivano dalla carità, e il raffreddarsi dell’amore può portare un po’ alla volta a un fare nel quale Dio non si riconosce, anche nella Chiesa. È importante capire non solo cosa dobbiamo fare, e non è facile, ma anche come dobbiamo fare e come dobbiamo essere per produrre frutti graditi a Dio.


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