Meditazione 3^ domenica di avvento 17/12/2023

Il brano evangelico di questa domenica è centrato sulla testimonianza di Giovanni battista.
La parola ‘testimonianza’ è molto importante nel Vangelo secondo Giovanni: ricorre 36 volte, che arrivano almeno a 40 se si aggiungono parole simili: testimone, testimoni, testimoniamo…
Perché è così importante questa parola? Perché non solo il racconto della Passione, ma tutto questo Vangelo è strutturato come una sorta di processo, paradossale, nel quale all’inizio Gesù è imputato come falso Messia, dunque come ingannatore e bestemmiatore, ma poi è riconosciuto innocente e diventa addirittura giudice che condanna l’accusatore (il “principe di questo mondo”) e chi pretendeva di giudicarlo: il mondo.
Il brano di oggi dice che il battista venne per dare testimonianza alla luce. Verrebbe da chiedersi che bisogno ha la luce di avere un testimone: la luce è evidente per se stessa. Ma la luce vera che viene nel mondo si fa carne, cioè debolezza, opacità, e non viene accolta dal mondo che è tutto nelle tenebre (cf. Gv 1,5-11). Perciò comincia questo processo con l’escussione dei testimoni.
Secondo la Legge di Mosè, ne sono necessari almeno due per accusare o discolpare qualcuno: la parola di un solo testimone non è né vera né falsa. Infatti gli avversari di Gesù gli obietteranno: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera» (Gv 8,13). Gesù risponderà che il Padre stesso gli dà testimonianza con le opere che egli compie. Ma alle sue opere i suoi avversari non volevano credere e anche oggi molti non credono. Perciò Gesù ha avuto bisogno allora di un testimone, Giovanni, del quale la gente diceva: «Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero» (Gv 10,41). Anche se Giovanni non compiva miracoli, per la gente era credibile, suppongo a causa della coerenza della sua vita.
Anche oggi Gesù ha bisogno di testimoni credibili: si può essere ammirati del messaggio evangelico e magari cercare di farsi ispirare da esso, ma chi vorrebbe seguire e affidare la propria vita a un uomo morto duemila anni fa, se oggi non ci fosse una comunità che crede in lui? Per questo è decisivo il modo in cui questa comunità e i suoi membri si comportano.
Non abbiamo imparato da soli a credere: sono stati altri credenti, che abbiamo riconosciuto come credibili, a trasmetterci questo dono. Per molti sono stati i genitori, per altri un’educatrice o un educatore, magari un prete, per molti altri ancora un’amica o un amico, ma comunque si è trattato di persone che vivevano con coerenza quel che credevano.
Al contrario, l’incoerenza di altre persone che dicevano di credere in Gesù, ma poi agivano in modo diverso, ha convinto molti che dietro le belle parole non c’era niente, che non ci si poteva fidare di Gesù perché nemmeno i suoi seguaci erano credibili.
È grande la responsabilità di ciascuno di noi e soprattutto dei pastori della Chiesa: la nostra vita parla e testimonia a favore o contro il Vangelo; le scelte della Chiesa sono di aiuto o di ostacolo nel credere. Certo, lo stile di vita proposto dal Vangelo è elevatissimo, per certi aspetti inarrivabile, ma di solito si capisce abbastanza facilmente se una persona almeno cerca di essere coerente o se invece non gliene importa proprio niente.
Non ci è chiesto, come a Giovanni battista, di nutrirci di cavallette e abitare nel deserto, né di compiere dei “segni”, cioè dei miracoli, come Gesù. Dobbiamo “solo” «rinnegare l’empietà e i desideri mondani e vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt 2,12). In altre parole siamo chiamati a fare delle scelte nel nostro modo di vivere: sobrietà in un mondo consumista e giustizia in un mondo pieno di ingiustizie. La pietà ha due significati: la religiosità, cioè saper riconoscere e onorare ciò che è sacro, e la misericordia nei confronti di chi è misero. Siamo testimoni credibili se cerchiamo di vivere con duplice pietà in un mondo empio e spietato.


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