Meditazione 4^ domenica di Quaresima 10/03/2024

Parlando con Nicodemo Gesù accenna a un episodio dell’Antico Testamento: durante l’esodo nel deserto il popolo aveva mormorato contro Dio ed era stato punito con un’invasione di serpenti velenosi. Gli israeliti perciò si pentirono del loro peccato e allora Dio disse a Mosé di fabbricare un serpente di bronzo e di metterlo in alto, sopra un’asta: quelli che guardavano il serpente di bronzo guarivano dal morso dei serpenti velenosi.
È un episodio misterioso: perché far guarire proprio in questo modo, guardando l’immagine di un serpente, ricevere la salute volgendo lo sguardo all’immagine di qualcosa di dannoso? Non lo so, però Gesù ha visto in questo episodio una sorta di profezia della sua passione.
Quando noi guardiamo il crocifisso, vediamo l’esecuzione di una pena di morte inflitta in un modo molto crudele; nel caso di Gesù, poi, si tratta anche dell’uccisione di un innocente, della massima ingiustizia. Il crocifisso di per sé è l’immagine del male del mondo, dell’odio, della violenza e della sopraffazione, ma per noi che lo guardiamo con fede è l’immagine di un amore che ha accettato tutto quel dolore; di una fede in Dio che si è affidata contro ogni evidenza e ogni logica; di una misericordia che ha saputo perdonare ogni affronto. Davvero si realizza quel che ha detto Gesù: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv12,32).
Certo, per noi oggi guardare il crocifisso con fede può essere facile, addirittura commovente.
Invece guardare le nostre croci quotidiane con altrettanta fiducia in Dio, guardare con fede i serpenti che ci mordono può essere molto più difficile. Nella vita possono esserci molti “serpenti”, molte ferite dolorose: il modo in cui guardiamo queste prove, il modo in cui le consideriamo è decisivo. Se le consideriamo soltanto come ingiustizie, come qualcosa che non dovrebbe esserci, rischiamo di chiuderci in noi stessi e aggravare la situazione. Se invece il Signore ci aiuta a sollevare lo sguardo e a guardare con fede queste prove, il dolore rimane, ma noi le viviamo in modo diverso e sopratutto noi stessi cambiamo in meglio.
Cosa vuol dire “guardare con fede queste prove”?
Innanzitutto guardarle bene in faccia, riconoscerle per quel che sono, oggettivamente. Guardare alle prove con fede non vuol dire raccontarsi bugie: i serpenti sono serpenti e il veleno fa male.
A questo sguardo lucido e sincero, però, si deve accompagnare la fiducia in Dio: credere che lui non ci abbandona. Gesù dice a Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
È anche importante non isolarsi: è vero che il dolore è in un certo senso incomunicabile, ma non si deve aver paura di chiedere e ricevere aiuto e sostegno da parte degli altri. Spesso l’orgoglio o la paura di essere respinti scavano un solco tra sé e gli altri e rendono più vulnerabili.
Infine, possiamo cercare e trovare il modo di trasformare anche l’esperienza di dolore in un dono, come ha fatto Gesù con la sua passione: non c’è una ricetta per farlo, ma ognuno deve trovare con l’aiuto di Dio il suo modo di trasfigurare la propria esperienza.
Anche se i serpenti mordono, anche se le prove sono dolorose, Dio non è lontano, ma ci accompagna nel cammino della vita.


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