Meditazione 5^ domenica di Quaresima 17/03/2024

«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Questa frase Gesù la riferisce a se stesso, alla sua morte imminente, ma prima o poi ogni seguace di Cristo deve fare i conti con questo mistero e a volte anche la Chiesa deve passare per questa porta stretta.
Ciascuno di noi sente di essere fatto per la gioia: la gioia non ci sazia mai; non viene mai il momento in cui vorremmo essere meno felici. Di conseguenza cerchiamo sempre di allontanare da noi il dolore e le sue cause. In modo particolare ci fa orrore la morte, la fine di tutto, negazione della vita e della gioia. Eppure tutti ci dobbiamo confrontare con questo mistero, come ha fatto anche Gesù.
Il brano di questa domenica inizia con dei greci che si avvicinano a due discepoli che hanno un nome greco – Filippo e Andrea – e chiedono di vedere il loro maestro. Gesù avrebbe potuto vedere in questa richiesta il segno che finalmente la sua missione cominciava ad avere successo; per questo motivo avrebbe anche potuto scegliere di sfuggire alla morte per continuare ad annunciare il suo Vangelo. Da un punto di vista umano la morte non porta nessun vantaggio, anzi: azzera completamente ogni attività e ogni aspettativa. Se da vivo non era riuscito a convertire i suoi ascoltatori, come avrebbe potuto riuscirci da morto?
Eppure Gesù sceglie proprio questa strada: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».
Misteriosamente, proprio nel momento della sua massima impotenza Gesù esercita la massima forza di attrazione: le sue parole sono straordinarie e anche i suoi miracoli lo sono, ma se fosse fuggito davanti alla morte quasi nessuno oggi si ricorderebbe di lui. Noi lo adoriamo perché è morto ed è risuscitato per noi. Non è solo un maestro come Buddha o Confucio, non è solo un taumaturgo: è colui che ci conduce al di là della morte fino alla pienezza della vita.
È necessario però che lo seguiamo sul suo stesso percorso: «Chi ama la propria vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo» (vv. 25-26).
Ogni essere umano che viene in questo mondo dapprima cerca di realizzare i propri sogni e i propri progetti, magari anche buoni e altruistici, ma sempre suoi. Crescendo e maturando, un po’ alla volta dovrebbe riuscire a capire – soprattutto se è credente, ma anche se non lo è – di essere parte di un disegno più grande che non può comprendere del tutto: per questo in certi momenti deve fidarsi e lasciarsi condurre dalla vita e dagli avvenimenti, accettando anche quel che non aveva previsto e che non avrebbe voluto. A volte è necessario “morire” alla propria volontà e al proprio giudizio per vivere situazioni e scelte completamente diverse da quelle che si vorrebbero.
Anche le persone più dotate e capaci – vorrei dire: soprattutto le persone più dotate e capaci – ad un certo punto devono farsi da parte per far crescere gli altri, anche se non saranno bravi come loro. Gesù ha lasciato la sua missione nelle mani di Pietro e degli apostoli che di sicuro non erano alla sua altezza. In realtà è lo Spirito Santo a guidare la Chiesa, ma è una guida che non si impone mai e non impedisce agli uomini di peccare.
Perciò la Chiesa – sulla quale le porte degli inferi non prevarranno – in certi casi deve attraversare lunghi periodi invernali prima di rivedere una fioritura primaverile. Oggi la disaffezione di tanti giovani per la religione e la scarsità di vocazioni presbiterali mi fa pensare che sia iniziato un lungo inverno nel quale tante belle opere e strutture del passato e del presente verranno meno, ma il seme che muore – non so come – un giorno porterà molto frutto.


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