Meditazione Ascensione 12/05/2024

La festa dell’Ascensione celebra la glorificazione di Gesù che dopo la sua risurrezione “è salito al cielo e siede alla destra del Padre”. Nell’antichità colui che sedeva alla destra del re era il suo primo ministro, il suo plenipotenziario, perciò questa espressione sta a significare che Gesù è stato insignito da Dio Padre di ogni potere “in cielo e sulla terra”: è colui che alla fine giudicherà il mondo e che conduce la storia umana verso il suo compimento.
Tutto questo però noi non lo vediamo: quel che possiamo constatare è solo la sua assenza fisica, la non evidenza della sua presenza invisibile che però apre a noi un grande spazio di libertà e creatività che comporta anche la possibilità di sbagliare e di tradire, oltre a quella di fare il bene.
Gesù lo sapeva: le sue ultime parole, riportate dal Vangelo di oggi, furono rivolte agli undici, non ai dodici, perché uno di loro aveva tradito e gli altri ancora dubitavano. Tuttavia Gesù ha dato fiducia proprio a questi imperfetti discepoli e a tutti quelli altrettanto imperfetti che sarebbero venuti dopo di loro, affidando il suo Vangelo a un’umanità che non sarebbe mai cresciuta se lui fosse rimasto perennemente sulla terra.
L’ultima tentazione di Gesù è stata la provocazione di scendere dalla croce, ma se ci fosse stato qualcun altro al posto suo l’ultima tentazione sarebbe stata quella di non salire al cielo e di restare sulla terra almeno fino a quando i suoi discepoli non fossero diventati un po’ più maturi… cioè per sempre. È abbastanza tipico di chi invecchia (come me) affezionarsi alle tradizioni, a quel che si è sempre fatto, al proprio criterio di giudizio e alla propria impostazione, fino al punto di credere che il proprio punto di vista è l’unico valido. Quando le cose cambiano non è così facile cambiare il proprio approccio, anzi: spesso si ripropongono le solite ricette perché sono le uniche che si conoscono. Per proporre qualcosa di diverso quasi sempre ci vogliono persone nuove, ma per i “più navigati” i giovani non hanno esperienza, non sanno o addirittura non capiscono niente… In effetti i giovani non sono infallibili, non hanno sempre ragione, tuttavia ogni generazione ha il diritto e il dovere di fare la sua parte o almeno di provarci.
Ricordo quand’ero seminarista e giovane prete: non vedevo l’ora di fare qualcosa, soprattutto per quelli della mia età e quelli ancora più giovani. Nella mia intraprendenza c’era tanto protagonismo, tanto desiderio di mettermi in mostra e anche un po’ di presunzione, eppure ricordo soprattutto un parroco che mi ha dato veramente fiducia e che incoraggiava non solo me, ma tutti i giovani della sua parrocchia, un uomo umilissimo che ha sempre cercato di fare spazio agli altri e non a se stesso: don Gino (all’anagrafe Igino Zambonin). Non era affascinante, non era particolarmente colto, non era un trascinatore, ma sapeva dare fiducia agli altri, anche a chi lo contestava. Non era un capo, ma con la sua umiltà e il suo spirito di servizio era una vera autorità, nel senso proprio della parola, cioè uno che sa far crescere gli altri.
Gesù salendo al cielo ha dato fiducia non solo allo Spirito Santo e agli undici, ma anche a tutti noi.
Siamo noi oggi che dobbiamo capire come annunciare il Vangelo a quelle nuove generazioni che sembrano così lontane dalla fede, almeno dalla nostra. Siamo noi che dobbiamo rispondere alle sfide e ai problemi del nostro tempo trovando o almeno cercando un accordo tra noi. Siamo noi che dobbiamo imparare sempre daccapo l’arte dell’ascolto e del servizio reciproco, cercando di non occupare spazio per noi stessi, ma di fare spazio agli altri.
Lo Spirito Santo, che dopo Gesù guida la Chiesa in modo discreto e invisibile, non è prerogativa di uno o di pochi illuminati, ma lo si può trovare solo nella condivisione e nell’ascolto reciproco.


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