Meditazione Ascensione 21/05/2023

In molte religioni e mitologie si parla di ascensione al cielo di individui ancora vivi o risuscitati dopo la morte. Gli antichi romani dicevano che Romolo fu rapito in cielo e fu divinizzato col nome di Quirino. Per la mitologia greca furono portati nell’Olimpo Ganimede, Ercole e Dioniso. Perfino di un filosofo del primo secolo, Apollonio di Tiana, qualcuno disse che era salito al cielo. Anche la Bibbia racconta che il patriarca Enoch fu rapito in cielo e così pure il profeta Elia. Però Enoch è una figura mitologica e anche se il profeta Elia è veramente esistito, la narrazione della sua vita è piena di particolari favolosi e miracolosi. Per noi oggi è un po’ difficile credere che sia stato rapito in cielo su un carro di fuoco (cf. 2 Re 2,11). Gesù stesso, nel Vangelo secondo Giovanni, afferma: «Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3,13).
Ma allora, chi ci può assicurare che l’ascensione al cielo di Gesù sia un fatto realmente accaduto, e non un racconto simbolico? In realtà, succede spesso nella Bibbia che realtà storica e simbolo non si oppongano l’una all’altro, ma si sostengano a vicenda. L’ascensione al cielo di Gesù è un fatto che il Nuovo Testamento presenta come realmente accaduto, ma possiede anche un significato simbolico, perché con questo segno Gesù volle trasmetterci un insegnamento.
Dopo quaranta giorni dalla sua risurrezione, Gesù volle far capire ai suoi discepoli che il tempo delle sue apparizioni visibili era finito: cominciava il tempo del credere senza vedere, il tempo della fede e non della visione, il nostro tempo.
Inoltre, Gesù volle far capire che con la sua risurrezione non solo aveva vinto la morte e aveva dato inizio a una nuova fase della storia umana, ma che proprio in virtù della sua morte e risurrezione era diventato il Signore, in senso pieno: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
L’ascensione non è una sorta di decollo di un viaggio spaziale; Gesù non è partito per andare da qualche parte, magari fuori dal sistema solare o addirittura dalla galassia. Il cielo nel quale Gesù è entrato non è quello visibile col telescopio, quello che gli inglesi chiamano sky, ma quello invisibile, che chiamano heaven. In italiano c’è una sola parola, cielo, a indicare queste due realtà così diverse, e da qui può nascere una confusione.
Gesù è salito al cielo: è entrato con il suo corpo glorioso e trasfigurato nel mondo divino; e siede alla destra del Padre: nell’antichità sedeva alla destra del re il suo primo ministro plenipotenziario.
«Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa» (Eb 2,8) riconosce la Lettera agli Ebrei, ma nella fede confessiamo che tutta la storia si dirige ormai verso la sua ricapitolazione finale per essere giudicata da Cristo, Signore dei vivi e dei morti.
Il senso di questa festa, perciò, non consiste nella pura e semplice ammirazione di un evento prodigioso, anche se forse oggi non siamo molto tentati di guardare troppo il cielo. Probabilmente siamo più tentati di non alzare mai la testa, di credere che tutto dipenda da noi. L’ascensione al cielo di Gesù ci ricorda che nonostante tutto è lui che conduce la storia umana verso il suo compimento, e che questo nostro è il tempo della testimonianza animata dallo Spirito Santo, perciò dobbiamo pregare e agire cercando anzitutto la sua volontà.
Gesù è il Signore, ma chiede a ciascuno di noi di permettergli di regnare nella nostra vita.


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