Meditazione Corpus Domini 11/06/2023

«Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda». Queste le parole del Vangelo di oggi.
Gli abitanti di Cafarnao le hanno fraintese: ovviamente Gesù non li stava invitando a praticare il cannibalismo. Ma siccome l’episodio è avvenuto ben prima dell’ultima cena, quelle parole non potevano nemmeno riferirsi alla comunione eucaristica. Allora, cosa poteva voler dire per loro in quel momento e anche per noi oggi “mangiare la carne del Figlio dell’uomo e bere il suo sangue”?
Mangiare significa nutrirsi, ovvero assumere con gli alimenti le sostanze necessarie per vivere.
Perciò Gesù in questo discorso detto “del pane di vita” sta indicando ai suoi ascoltatori ciò che può davvero nutrire la loro vita, cioè quel che le può dare energia, forza, benessere profondo.
Nella prima parte del discorso, all’inizio del capitolo sesto del Vangelo secondo Giovanni, è il messaggio di Gesù questo pane che discende dal cielo, questo alimento che viene da Dio. Ma nella seconda parte, quella da cui è tratto il brano di oggi, non sono più solo le parole di Gesù quelle che “nutrono” in suoi discepoli: è la sua carne e il suo sangue.
La nostra vita non ricava nutrimento e forza solo dalle parole di Gesù, ma anche da tutto quello che Gesù ha fatto, ha vissuto, ha sofferto e gioito: i suoi muscoli indolenziti e il suo sudore per i lunghi viaggi a piedi sotto il sole mediorientale; il tocco delicato delle sue mani sui corpi degli ammalati; il ribollire delle sue viscere di fronte all’ingiustizia; il dolore nel corpo e nella testa quando lo hanno respinto a sassate; la fame e la sete; la gola riarsa, la stanchezza e il sonno; la scelta della povertà e le sue conseguenze; e infine la pelle lacerata, le spine nel capo, i buchi dei chiodi, il soffocamento sulla croce. Tutto quello che Gesù ha vissuto con il suo corpo nutre la nostra vita, le dà motivazione ed energia. Come il cibo e le bevande danno forza al nostro corpo, così l’incarnazione del Figlio di Dio, tutto quello che ha sperimentato e agito con il suo corpo ci fa vivere ed essere a sua somiglianza.
Perché mangiare significa anche assimilare, cioè alla lettera: rendere simile. Quando noi mangiamo gli alimenti più vari li trasformiamo in parti del nostro corpo o in energia per la nostra vita. Invece, quando ci nutriamo del corpo e del sangue del Signore, quando contempliamo e imitiamo ciò che egli ha detto e fatto, noi siamo assimilati a lui, siamo resi simili – almeno in parte – alla sua divina Persona.
Quando facciamo la comunione dovremmo cercare di ricordare che questo gesto ci impegna a mangiare e bere la carne e il sangue del Figlio dell’uomo, cioè a ripensare a tutto quello che Gesù ha fatto e ha subito, a lasciare agire in noi le impressioni generate da tutto quello che lui ha vissuto, a riprodurre nella nostra vita quel che lui ha sentito e vissuto.
Più di ogni altra cosa, la carne e il sangue di Gesù hanno sofferto e si sono offerti per amore sulla croce. Perché quella sofferenza non sia solo una violenza senza senso, uno spreco di vita, ci deve essere qualcuno che si nutre di quel sacrificio, che trova in esso ispirazione per andare avanti e dare un indirizzo alla propria esistenza.
«Colui che mangia me vivrà per me», dice il Signore: chi si nutre di tutto ciò che Gesù ha vissuto nel suo corpo e con il suo sangue, non vive più per se stesso ma per colui che ha dato la sua vita per noi, fino a dire con San Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).


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