Meditazione Giovedì Santo 28/03/2024

Contempliamo in questi giorni del Triduo Santo l’evento principale della nostra fede: la morte e risurrezione di Gesù Cristo per la nostra salvezza.
È un evento, non una dottrina: Gesù non ha scritto un libro di teologia ma ha vissuto quel che contempliamo in questi giorni; le spiegazioni sono venute dopo e forse non basteranno mai a comprendere tutta la profondità e il senso di quel che è accaduto. Eppure noi vogliamo anche capire: era proprio necessario che Gesù soffrisse così? A quale scopo? E chi ha voluto tutta questa sofferenza?
I riti del Triduo pasquale ci aiutano in un certo modo a rivivere quegli avvenimenti e a cercare di comprenderne il significato, almeno fin dove possiamo.
Il primo atto – per così dire – della passione di Gesù si è compiuto nel cenacolo.
Prima di cercare spiegazioni metafisiche credo si debbano considerare i fatti: Gesù è morto prima di tutto perché aveva dei nemici potenti che volevano ucciderlo, un po’ per invidia, un po’ per contrasti religiosi, un po’ per motivi politici… Era un uomo scomodo che andava tolto di mezzo, era un uomo giusto in un mondo ingiusto e in più era un uomo dalla parola tagliente: non poteva sfuggire alla sorte di tutti i profeti che lo avevano preceduto.
Oppure, avrebbe potuto sfuggire alla morte se lo avesse voluto: aveva perfettamente capito cosa stava per accadere e quindi avrebbe potuto fuggire da Gerusalemme finché era in tempo, o forse organizzarsi un servizio di guardia del corpo, ma non volle.
Nell’ultima cena, quella che riviviamo la sera del giovedì santo, compì due gesti: lavò i piedi dei discepoli e offrì loro pane e vino. In questo modo fece capire che non voleva sfuggire alla morte e all’odio dei suoi nemici, ma li voleva trasformare in qualcosa che avrebbe purificato i suoi discepoli e avrebbe nutrito la loro vita.
“In qua nocte tradebatur” si può tradurre in tre modi diversi: nella messa diciamo “nella notte in cui fu tradito”, da Giuda iscariota; ma si può anche tradurre “nella notte in cui si consegnò” volontariamente nelle mani degli uomini, amando coloro che lo odiavano; oppure “nella notte in cui fu consegnato” da Dio agli uomini. Sono vere tutte e tre le interpretazioni: davvero Giuda lo tradì, ma Gesù lo sapeva e non fuggì, si consegnò invece volontariamente ai suoi carnefici. Lo fece perché era convinto che questa fosse la volontà del Padre.
Questo per noi è difficile da capire come lo era per i discepoli di Gesù prima della sua morte e risurrezione: istintivamente non accettiamo che Dio possa volere la morte di un innocente o che possa anche solo tollerare quello che è accaduto a Gesù. Come Pietro, anche noi vorremmo dire che non è giusto, che non doveva succedere. Invece è successo perché Gesù ha voluto/accettato che accadesse e ne ha dato prova con quel che ha detto e fatto nel cenacolo.
Offrendo il calice ai suoi discepoli ha parlato di una nuova alleanza nel suo sangue: Dio ha promesso che continuerà ad amare e aiutare gli uomini per quanto essi possano peccare e odiare.
Non si è limitato ad annunciare o a dichiarare questo amore, ma in Gesù lo ha dimostrato nei fatti, soffrendo e rispondendo con il perdono al dolore che gli veniva inflitto.
I poeti pagani dicevano molte cose belle parlando degli dei o di Dio, ma erano verità o fantasie?
Anche oggi sono diffusi in Internet tanti messaggi poetici e devoti su Dio, ma come possiamo sapere che sono veri? Nella passione di Gesù l’amore di Dio si è rivelato non con pensieri svenevoli, ma in modo concretissimo. Nel cenacolo Gesù ha detto: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi” e così ha fatto, sul Calvario. Nel cenacolo ha lavato i piedi a tutti, anche a Giuda, per mostrarci un amore – non solo sentimentale, ma anche servizievole – che non discrimina.
Nel cenacolo Gesù ci dice che, per quanto possa sembrare incomprensibile, la sua passione l’ha scelta, non l’ha subita, e l’ha scelta per amore dei suoi discepoli.


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