Meditazione Pentecoste 28/05/2023

Sono due i pensieri che quest’anno vorrei condividere nella festa di Pentecoste.
Il primo riguarda lo Spirito Santo che è una Persona misteriosa, di cui è sempre difficile parlare. Di Gesù sappiamo cosa ha detto e cosa ha fatto; del Padre possiamo immaginare molte cose, forse non sempre giuste, proprio a partire da questo nome: Padre. Con lo Spirito Santo siamo in difficoltà anche solo a immaginare, però sappiamo che è lo Spirito di Gesù Risorto. Che cosa intendiamo, quando parliamo dello spirito di qualcuno?
Mi viene in mente il dialogo tra Elia e il suo discepolo Eliseo, poco prima che Elia fosse rapito in cielo. «Elia disse a Eliseo: “Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te”. Eliseo rispose: “Due terzi del tuo spirito diventino miei”» (2 Re 2,9).
Cosa intendeva dire Eliseo, chiedendo due terzi dello spirito di Elia? Due terzi del patrimonio del padre sembra fosse la parte che spettava in eredità al primogenito. Ma qui si parla di qualcosa di immateriale: lo spirito, appunto.
Possiamo immaginare che Eliseo si riferisca a ciò che caratterizzava in profondità la personalità e la missione del suo maestro, di Elia: la sua passione intransigente per l’alleanza con l’unico Dio, la sua forza e il suo coraggio davanti ai potenti, il suo distacco dalle comodità e dai beni terreni e magari anche i suoi poteri miracolosi, ma sempre al servizio della sua missione, mai per attirare su di sé l’attenzione o per tornaconto personale. Chiedendo una gran parte dello spirito di Elia, Eliseo intendeva dire che voleva assomigliare a lui e proseguire la sua missione.
Se pensiamo allo Spirito Santo come allo Spirito di Gesù, e se pensiamo a noi stessi come a discepoli che vogliono assomigliare al loro maestro e proseguire la sua missione, allora ci viene in aiuto proprio il brano del Vangelo di oggi, in cui Gesù dice: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22).
Gesù appare ai suoi, mostra loro il suo corpo ferito per amore e non chiede conto della loro viltà durante la sua passione, ma concede loro il suo perdono con una parola sola, che dice tutto: Pace. Poi li incarica di proseguire la sua missione e la riassume proprio nella Pace e nel perdono dei peccati, cioè nella riconciliazione con Dio: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).
In questo senso lo Spirito di Gesù è (anche) il suo amore che si manifesta soprattutto nel perdono.
Il suo Spirito vive in noi quando amiamo e perdoniamo, quando siamo operatori di Pace, quando aiutiamo le persone a riconciliarsi tra loro e con Dio.
La compassione di Gesù, la sua forza mite, la sua conoscenza del mistero del Padre, la sua passione per la giustizia e la misericordia… insomma il suo Spirito, vive nei suoi discepoli.
E questo ci porta al secondo punto su cui volevo riflettere.
Molto spesso, nella tradizione spirituale cristiana, si è valorizzata la presenza e l’azione dello Spirito Santo in alcune persone chiamate “santi” e “sante” per la loro somiglianza a Cristo. In oriente sono stati chiamati proprio “pneumatofori”, cioè portatori dello Spirito Santo. C’è del vero in questo, naturalmente, ma secondo il Nuovo Testamento lo Spirito Santo è dato soprattutto alla comunità e alle comunità, affidando doni diversi a ciascun membro, ma per l’utilità comune.
In altre parole, lo Spirito di Gesù non dobbiamo cercarlo ciascuno per conto proprio, con una spiritualità individualista, ma in unione con tutta la comunità in cui vive la Chiesa. Per formare questa unità è decisivo proprio il perdono reciproco, che la riedifica ogni giorno da capo.
Lo Spirito Santo vive in noi solo se e quando siamo uniti nell’amore e a servizio gli uni degli altri.


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